Focus Group con la Cgil

Il 19 maggio, nell’Aula Riunioni del Dipartimento di Economia Marco Biagi dell’Università di Modena e Reggio Emilia, si è svolto il Focus Group con i rappresentanti della Cgil. Tre erano funzionari della segreteria provinciale: la responsabile del welfare Tamara Calzolari, la responsabile delle politiche industriali Manuela Gozzi, il coordinatore della Camera del lavoro di Mirandola Erminio Veronesi. Inoltre, erano presenti otto responsabili delle categorie per la zona di Mirandola: Fausto Bertelli (sindacato pensionati), Alberto Biagi (edili), Alessandro Cambi (metalmeccanici), Vincenza Corcione (commercio), Erika Morselli (alimentaristi e agricoltura), Giuditta Perricone (pubblico impiego) e Roberto Righi e Sonia Roversi (chimica-biomedicale, tessile).

Obiettivo dell’incontro era indagare il punto di vista del sindacato in merito agli effetti del sisma. Già in precedenza, osservano gli esponenti della Cgil, c’erano differenze sia tra settori che tra aziende dello stesso settore. Differenze che emergevano, in particolare, sulla innovatività delle imprese: quelle che avevano investito di più in ricerca e sviluppo sono arrivate alla vigilia della crisi economica più preparate e strutturate delle altre. Nel biomedicale, le aziende hanno puntato molto sull’innovazione di processo. Nella meccanica, invece, l’innovazione ha trovato molte resistenze e ciò ne ha eroso il livello di competitività.

Da questa prima differenza emerge già una caratteristica dell’economia pre-sisma: la situazione era estremamente variegata. Da inizio anni Novanta in poi, il settore tessile aveva visto sopravvivere solo le aziende più strutturate, mentre le grandi imprese di trasformazione delle materie prime hanno abbandonato il territorio. Nonostante le difficoltà di alcuni settori, prima della crisi la disoccupazione non è aumentata perché altri settori, come il biomedicale e quello dei servizi, hanno generato occupazione. Un fenomeno che invece si era già registrato prima del 2008, invece, è stato quello della precarizzazione, a partire dall’applicazione della legge Biagi del 2003. Da un lato, questo ha reso l’organizzazione del lavoro più flessibile; dall’altro, proprio i lavoratori assunti con questa tipologia di contratti hanno pagato per primi gli effetti della crisi, dal 2009 in poi.

Con il terremoto, sono emerse varie criticità e contraddizioni. È possibile evidenziare tre differenti linee di comportamento tenute dalle imprese sul territorio. Ci sono i “casi di successo”, cioè imprese con una solida struttura patrimoniale e finanziaria che più delle altre hanno saputo affrontare la crisi economica e che, grazie ai contributi per la ricostruzione e alle indennità assicurative, pochi anni dopo il sisma si caratterizzano già per un incremento dei livelli produttivi e di occupazione. Poi ci sono i “casi di insuccesso”: alcune aziende erano in difficoltà prima della sisma e, in alcuni casi, prima della crisi. I terremoti hanno semplicemente anticipato la loro chiusura. Infine, alcune imprese hanno intercettato i contributi della ricostruzione, ricostruendo secondo la logica del “dov’era com’era”, senza investire. Si tratta della categoria degli “opportunisti”.

Secondo i partecipanti al Focus Goup, una delle debolezze del meccanismo di concessione dei contributi è stata proprio l’erogazione alle imprese di contributi per la ricostruzione in maniera disgiunta rispetto a quelli per l’innovazione.

Com’è stata colpita la Cgil dal sisma? In due modi. In primo luogo, è risultata inagibile la quasi totalità dei suoi locali. A questo si è risposto, per garantire la continuità, organizzandosi prima in tende e successivamente in container. Luoghi, questi, che sono diventati veri e propri luoghi di aggregazione. Inoltre, il sindacato ha dovuto attuare velocemente una ricognizione del territorio per capire le esigenze della popolazione e strutturare, la propria azione. La priorità è stata data alla sicurezza sui luoghi di lavoro. Infatti, in una prima fase molti lavoratori hanno rifiutato di interrompere l’attività col timore di perdere il posto e, in questa fase, il loro rapporto con i sindacati è stato particolarmente conflittuale.

C’era poi l’esigenza di mantenere una continuità produttiva, per difendere i posti di lavoro. Sono quindi state cercate le modalità organizzative e logistiche per continuare la produzione, cercando per quanto possibile di non intaccare la qualità del lavoro. La concertazione ha portato ad accordi sulla delocalizzazione: da un lato gli imprenditori si sono impegnati nella ricostruzione tout court delle loro imprese e nel mantenimento dei posti di lavoro, dall’altra i lavoratori hanno accettato un orario di lavoro flessibile, talvolta più lungo, e una delocalizzazione temporanea.

Il fatto che al Focus Group fossero presenti rappresentanti di tutte le categorie di lavoratori presenti nell’area modenese del cratere, e il fatto che molti siano entrati nel sindacato dopo il 2012, è prova dell’investimento che questa organizzazione ha fatto sul territorio in seguito al sisma, che le ha consentito di aumentare la propria influenza e la propria presenza. Un fatto sottolineato dal monitoraggio e dal presidio nei confronti delle aziende e dei lavoratori attivi nel settore dell’edilizia, anche per prevenire ed eventualmente denunciare la possibile formazione di aree di illegalità.

I partecipanti al Focus Group ritengono che per garantire un futuro al territorio in questione sia necessario mettere in campo azioni di sistema e applicare strumenti in grado di innalzare il suo livello di competitività. Inoltre è stato sottolineato in più interventi che l’assenza, in alcuni casi, dell’Unione comunale nella fase di emergenza e di ricostruzione post-sisma, richieda di ripensare la centralizzazione e il coordinamento degli interventi su scala subprovinciale.