Presentata all’Università di Bologna la proposta di collaborazione sul Piano Casa Italia, a cui ha contribuito Energie Sisma Emilia

Il 23 novembre 2016, in occasione dell’incontro promosso dal Rettore dell’Università di Bologna, Laura Sartori presenta il contributo delle Scienze sociali nell’elaborazione e realizzazione del Piano Casa Italia e consegna al professor Azzone la proposta “per il Piano Casa Italia”

Laura Sartori, Dipartimento di Scienze politiche e Sociali (SPS) fa parte del gruppo di ricerca Energie Sisma Emilia

Intervento del 23.11.16
Laura Sartori, Professore Associato di Sociologia, Dipartimento di Scienze politiche e Sociali (SPS), Via Bersaglieri 6. l.sartori@unibo.it

Ore 15.30 Incontro promosso dal Magnifico Rettore con il prof. Azzone (Politecnico Milano) e il prof. Savoia (Unibo), Sala VIII Centenario.

Il contributo che vi propongo può fare la differenza nell’efficacia dell’elaborazione e dell’implementazione del Piano Casa Italia. Oggi un Piano così importante quanto necessario non può ignorare il contributo delle Scienze sociali, in particolare quello della sociologia e dell’economia.

Da una lettura dei primi documenti disponibili, il Piano pare soffrire di una carenza sul piano dell’interdisciplinarietà, perché prevalentemente focalizzato su un approccio ingegneristico e tecnologico (tecniche e materiali di costruzione) che tende a trascurare le dimensioni socio-economiche dei terremoti.

In quasi 100 anni di lavoro empirico comparato, la sociologia dei disastri continua a confermare che l’entità dei danni non dipenda esclusivamente dalla forza dell’agente distruttivo di origine naturale (terremoto, uragano, tsunami etc.). Il disastro è dato dai modi in cui l’evento naturale si intreccia e si combina con il sistema sociale in cui si manifesta.

Nel corso degli anni si sono proposti diversi modelli di risk management e risk reduction che hanno via via sottolineato con sempre maggiore forza la necessità di accompagnare l’approccio ingegneristico a una prospettiva socio-economica. In particolare, possiamo oggi fare riferimento al ‘Sendai Framework for Disaster Risk Reduction 2015-2030’ elaborato dalle Nazioni Unite,

Raccogliendo i risultati del precedente ‘Hyogo Framework for Action 2005-2015’, il Sendai Framework mette in primo piano i concetti di hazard, vulnerability e resilience. Tra questi, solo il primo è riconducibile a un evento fisico di origine naturale (geologico, idro-meteorologico o biologico) o scatenato da attività umana (degrado ambientale o pericoli tecnologici). La vulnerabilità si riferisce invece a tutte quelle condizioni socio-economiche che possono peggiorare (o limitare) l’entità del danno, mentre la resilienza richiama le dimensioni socio-economiche che possono aumentare le capacità reazione e recupero di una collettività.

La dimensione temporale qui gioca un ruolo decisivo. Una cosa è come si può affrontare la fase dell’emergenza, un’altra è la predisposizione di tutti quegli interventi volti a prevenire e ridurre il rischio di danni materiali e immateriali.

Nell’ottica di risk reduction, a mio avviso si possono individuare 3 linee di intervento, intrecciate tra loro.

(a) La prima è stata definita ‘Build (Back) Better’ e si concentra sugli aspetti infrastrutturali e di messa in sicurezza del patrimonio edilizio (privato e pubblico) e culturale (edifici storici).

(b) La seconda riguarda la vulnerabilità e rimanda a tutti quei fattori o processi che aumentano il potenziale di rischio e, quindi, di disastro. Disuguaglianze socio-economiche, urbanizzazione non pianificata o datata, vocazioni produttive territoriali disomogenee rappresentano driver di rischio che si intrecciano a tendenze più generali come, per esempio, l’andamento demografico, le politiche locali svincolate dal calcolo e dalla comunicazione del rischio.

(c) La terza richiama la resilienza di un territorio e di una comunità nel reagire e recuperare le condizioni socio-economiche pre-disastro.

Ecco perché l’efficacia di un Piano come quello di Casa Italia non può non considerare centrale un approccio socio-economico che può offrire elementi fondamentali anche per la predisposizione e la realizzazione degli interventi infrastrutturali. La conoscenza approfondita dei territori e degli attori locali rende più fluida la definizione e la realizzazione delle strategie di risk reduction.

Un Piano che consideri tutte e tre le linee di intervento rientra a pieno titolo nell’approccio di prevenzione centrato sugli individui promosso dal Sendai Framework. È chiaro come ridurre i fattori di vulnerabilità e rinforzare quelli positivi per la resilienza richieda un approccio integrato tutto a vantaggio della qualità degli interventi di riqualificazione del patrimonio infrastrutturale.

Come fare?

Un modo per realizzare questo approccio integrato e multidisciplinare è quello di creare un’unità di lavoro che abbia le competenze per un’analisi sistematica delle condizioni socio-economiche delle aree a rischio sismico (in particolare 1 e 2).

Un’analisi sistematica di questo tipo risponde perfettamente al primo asse del Piano che si propone di mettere a regime tutti i dati e le informazioni disponibili sul Paese. Molte informazioni e dati sono già facilmente accessibili, ma per molti altri c’è bisogno di un serio sforzo di coordinamento. Una volta messa a punto tale base di dati, le scienze sociali possono fornire uno strumento formidabile di analisi.

Le tecniche di cui ci si può avvalere sono quelle tipiche delle scienze sociali, come survey e interviste in profondità, focus group, tecniche statistiche, network analysis, modelli computazionali ed esperimenti ad hoc. Tecniche qualitative e quantitative di raccolta ed elaborazione dei dati possono sensibilmente migliorare l’efficienza allocativa e l’ordinamento delle priorità nell’utilizzo delle risorse secondo le caratteristiche della popolazione e le vocazioni produttive del territorio. Con le tecniche di modellizzazione e simulazione sarà possibile delineare gli scenari futuri ed eventuali effetti perversi che si potranno avere data la complessità dei fattori che incidono sulla capacità di riduzione del rischio di una data area.

Nell’ottica di una governance multistakeholder del processo di risk reduction, è fondamentale ascoltare tutti gli attori presenti sul territorio e in particolare coloro che potrebbero subire una ricollocazione abitativa o delle proprie attività economiche. In questo senso, aprire e rendere partecipati i processi decisionali può contribuire alla definizione di politiche pubbliche di intervento che siano positivamente vissute dalle popolazioni e dalle comunità locali. Inoltre, si può anche procedere a un’analisi che indichi la strada per una semplificazione dell’esistente normativa.

Un altro asse del Piano ha un carattere di formazione, vuole cioè creare una diversa ‘coscienza’ e trasmettere una nuova ‘conoscenza’ (in relazione al rischio) a diversi attori. Innanzitutto, vuole formare i professionisti (che devono essere tecnicamente aggiornati) e gli amministratori pubblici (in qualità di committenti capaci) per la gestione degli interventi di riduzione del rischio. In più, vuole collaborare con la popolazione per incentivare comportamenti virtuosi nelle fasi di prevenzioni ma anche di emergenza.

In questo senso, il contributo che può venire dall’università è essenziale, tanto in termini di predisposizione di nuovi corsi di laurea e di formazione tanto nell’esercizio della Terza Missione. In particolare, si può creare un network di università che sfrutti le sedi locali degli atenei nelle aree a maggior rischio.

Quanto possibile strategia di azione si basa sull’esperienza di ‘Energie per l’Emilia’ (http://www.energie.unimore.it), un progetto avviato dall’Università di Modena (coordinatrice Prof.ssa Margherita Russo) a seguito del sisma emiliano del 2012. Questa esperienza potrebbe essere allargata e migliorata per essere messa a sistema a livello nazionale.

Il progetto ‘Energie per l’Italia’ è in corso di definizione, ma si inserisce bene in un approccio integrato. Anzi, un gruppo di sociologi ed economisti che coprisse la domanda di conoscenza socio-economica potrebbe efficientemente affiancare il Prof. Azzone e il gruppo G124 di Renzo Piano che si occupa della dimensione architettonico-urbanistica.